lunedì 6 settembre 2010

Una sera, nella Città Eterna.


Ieri sera ho organizzato una cena nella mia casa romana.
Devo dire che mi sono accorta che in quest'ultimo anno sono proprio sbocciata come un fiore, e c'è un sacco di vita che mi fa calore tutt'intorno, continuo a crescere con una velocità inaudita. Ho riabbracciato, dopo due settimane che non li vedevo, tutti gli amici con cui ho fatto un lungo viaggio quest'estate, in Africa. E' stato bello riabbracciarli uno per uno, sul pianerottolo di quella che da un anno è casa mia, è stato bello rispondere al telefono parlando, uno per volta, con quelli che non sapevano la strada. E' stato bello sentirne l'odore, il calore, vederne il sorriso. Siamo sei, e siamo una famiglia ormai. Alla cena avevo invitato anche altre persone, ma il contatto che c'è tra noi sei è illuminante e speciale, fatto di sguardi, sorrisi e ogni tanto "ma sapete che non mi sembra vero avervi tutti qui?". Già. E' cambiato un po' il menu. In Africa abbiamo provato il riso in tutte le sue forme (verdure, in bianco, con verdure, in bianco con l'olio, e ancora con verdure...) e ieri sera sembrava quasi strano vederci a un tavolo diverso, in una casa diversa e con una pastasciutta sotto il naso. E avevamo bottiglie di vino, pane morbido e anche una piccola torta. E' stato bello ritrovare questa mia famiglia anche qui a Roma; noi, tutti italiani, che ci siamo davvero conosciuti in un appartamento sperduto nella grande metropoli egiziana, il Cairo.
E lì abbiamo litigato, riso fino alle lacrime, studiato, ci siamo arrabbiati, abbiamo pianto per il nervoso e perché quel posto era dannatamente troppo difficile da vivere e da imparare. Come la sua lingua.
Dopo cena abbiamo deciso di uscire, siamo andati a Trastevere, abbiamo girato per le viette come facevamo per le viette del Cairo, ma è cambiata la gente, è cambiata l'atmosfera, è cambiato anche il caos. Noi no. Noi siamo sempre qui, e siamo sempre gli stessi. C'è sempre la ragazza che si emoziona, che sorride piano, e racconta del suo ragazzo che ha ritrovato a Roma ma che gli manca il Cairo. Gli manca il caos e uscire alle due di notte a fare la spesa e bere delle birre messe in buste nere perché non sta bene che si beva. Mi chiedo che cosa penserebbe un egiziano a piazza Trilussa.
C'è la ragazza che fa le battutine, lei che invece l'Egitto l'aveva odiato con tutta la sua forza; e c'è un'altra ragazza, semplice e solare, che invece ha sempre cercato di capire. E da un mese in Egitto è tornata più confusa di prima. Anche i ragazzi erano confusi. Cercare di capire una cultura così diversa è difficile, abbiamo litigato e discusso e pensato tutti insieme un sacco di tempo, al Cairo. Soprattutto quando succedeva qualcosa di brutto, parlavamo proprio tanto e ci chiedevamo perché è così, perché.
A Trastevere l'aria era di noia, inizialmente. Orde di ragazzi che stavano sdraiati sugli scalini, e bevevano fumavano senza un motivo che probabilmente non fosse quello di passare il tempo. Immaginateli lì, nelle stesse posizioni, semplicemente senza null'altro che loro. Noia pura. E noi eravamo così, su una gradinata, spaesati nella nostra stessa città. E poi ci viene un'idea.
Un gioco che facevamo al Cairo quando volevamo ridere un po', nella veranda dell'appartamento.
Il gioco del mimo.
Cominciamo noi, poi sentiamo che un ragazzo ha indovinato il titolo di un film mimato. Un ragazzo di un'altra comitiva. Così si aggiunge un altro gruppo di ragazzi, e poi un altro e un altro ancora. Dopo una mezz'oretta l'intera scalinata di quella piazza era succube, rideva e tratteneva il fiato in attesa di indovinare la successiva parola, film oggetto libro o altro.
Alle quattro di mattina abbiamo deciso di andarcene. Ho sentito un ragazzo dire: "Chi l'avrebbe detto, è la prima sera in tutta la mia vita che non mi annoio a Trastevere" e ha sorriso. Quando a volte basta proprio poco.

Nessun commento: